Parlare con gli sconosciuti, Cosa significa e perché lo facciamo?

Alcuni studi confermano che parlare con gli sconosciuti migliora l’umore. Al contempo scambiare qualche parola con chi non si conosce aumenta la propria autostima

Ogni persona è un universo a parte ed è parte di un universo più grande di persone, di altre entità. In città molto piccole e nei paesini, la forma mentis non porterebbe mai a pensare di parlare con degli sconosciuti. Al riguardo, vi sono diversi punti di vista. Iniziare una conversazione dal nulla, in una sala d’aspetto o in un qualsiasi luogo pubblico, ad alcuni potrebbe sembrare quasi un azzardo. Una persona troppo eloquente potrebbe suscitare diffidenza. Oppure, per altri potrebbe essere esattamente il contrario. La questione è anche di educazione, di mentalità, di come ci hanno abituati a pensare.

Gli psicologi sostengono che parlare con gli estranei, aiuta a superare la paura di non saper gestire una conversazione. In uno studio dell’Università del Sussex (Uk), alcune persone hanno partecipato a una caccia al tesoro che le spingeva a interagire con sconosciuti: per esempio, dovevano trovare qualcuno che indossava determinate scarpe o che stava bevendo un caffè. Alcune di loro avevano l’indicazione di avviare una conversazione con questi individui, altre di limitarsi a osservarli. L’esperimento sembra quasi un pegno.

Al di là da pregiudizi vari, nella maggior parte dei casi, quando ci si trova in vacanza, in un luogo di relax, dove si conoscono poche persone, in un posto che non è il nostro posto abituale, spesso si tende ad essere più liberi. A chi non è mai accaduto trovarsi in un’altra città, e iniziare a parlare tranquillamente con l’uomo o la donna accanto? Una cosa è certa: Le relazioni personali sono un universo molto complesso.

Aumentare l’autostima

A cosa serviva l’esperimento messo in atto dall’università del Sussex? Prima e dopo la prova i ricercatori hanno misurato alcune variabili, tra queste la paura di essere rifiutati. Inoltre, le convinzioni circa le proprie capacità di conversare e di fare un’impressione positiva, l’imbarazzo e il divertimento che si aspettavano di provare. Soltanto nei partecipanti che erano stati indotti ripetutamente a intraprendere conversazioni si sono osservati cambiamenti significativi, che oltretutto sono risultati stabili nel tempo: minore sensazione di disagio e più piacere nell’interagire con nuove persone, oltre che maggiore sicurezza in se stessi. 

Con amici e conoscenti, a volte si recita quasi un “copione”, gli altri possono essere uno specchio in cui possiamo riconoscerci, o vederci semplicemente, senza riconoscerci. A volte, si è semplicemente stanchi di sentirci, come gli altri ci vedono. Cioè con gli abiti che ci hanno fatto indossare, magari non siamo così. Magari siamo diversi, oppure proprio come ci dipingono, ma la notizia potrebbe essere che va bene così. Qui può nascere qualche limite. Uno sconosciuto ci vede per quello che siamo (o per ciò che potremmo essere), liberi da eventuali ideali precostituiti. Tale condizione ci permette di relazionarci con gli altri con più serenità.

Inoltre, conoscere persone nuove ci apre un mondo e ci apre al mondo, ci introduce ad una grande verità: il mondo è vario. Anche nelle grandi città, non si frequentano che solo pochi amici o conoscenti, restando limitati in un piccolo recinto di persone. Aprirsi vuol dire farlo verso gli altri, verso il mondo e soprattutto verso noi stessi, scoprendo una nuova parte di noi.

Sbagliato dire: Non parlare con gli sconosciuti

Sentirsi cittadini del mondo può regalarci sensazioni di felicità e benessere. Molti dei nostri comportamenti, sono retaggi di una cultura spesso distribuita a grandi dosi. Basti pensare che uno studio pubblicato su Psichological Science  ha rivelato che i bambini, a partire dai tre anni, sarebbero in grado di distinguere da soli se le persone che si avvicinano sono affidabili o se devono allontanarsi, mentre a sette anni sono in grado di farlo proprio come gli adulti.

Sheen S. Levine, professore della Singapore Management University, sostiene che ciò che avvantaggia spesso le imprese non è soltanto l’insieme di conoscenze, ma l’uso di vincoli performativi, ovvero comunicazioni spontanee tra colleghi che non si conoscono, grazie alle quali vengono trasmesse conoscenze basilari senza aspettarsi nulla in cambio.

Parlare con gli sconosciuti ci permette di prendere le distanze dai nostri stati emotivi, di guardarci con altri occhi, di essere più gentili e disponibili verso gli altri.

Amicizia: Unità perfetta

Nell’antica Grecia gli amici erano soliti spezzare in due una tessera, il symbolon, e conservarne una metà ciascuno, per non dimenticare mai l’unità perfetta che, insieme ma distinti, potevano costituire – Questo l’incipit di – il ciondolo spezzato – libro di Federico Zannoni – nei cui spazi, forme e percorsi d’amicizia – servono per indagare proprio le relazioni e la loro natura.

Su IODonna si legge: Nelle amicizie che consideriamo importanti, talvolta, c’è un reale che si nasconde, come evidenzia Francesco Aquilar, psicoterapeuta, presidente della Associazione Italiana di Psicoterapia Cognitiva e Sociale. «Arnold Lazarus, considerato uno dei pionieri della psicoterapia cognitivo-comportamentale, sosteneva che l’amicizia vera è una “comunicazione dalla A alla Z”, in cui ci si dice tutto, senza celare nulla. Io, invece, credo che l’amicizia somigli più a una “comunicazione dalla A alla W ”, in cui ci si tiene per sé qualcosa (la X, Y e Z)».

D’altra parte nel libro Mai più lacri- me di coccodrillo (FrancoAngeli) si specifica «È solo nell’infanzia che si crede che all’amico si possa, o si debba, dire tutto. Crescendo, invece, le sacche di non detto diventano più consistenti. L’importante, però, affinché l’amicizia resti tale, è che l’opacità non sovrasti l’intimità».

Persino Michela Murgia scrive: «Le amicizie pluridecennali sono un bene che ha bisogno di manutenzione, perché fonte dell’unica cosa che non si può ripetere: il tempo. Sono quelle che custodiscono il ricordo della ragazza o del ragazzo che eri, che conoscono la fatica che hai fatto per essere la donna o l’uomo che sei, che ricordano l’entusiasmo che avevi e quello che è rimasto, gli errori da cui ti sei salvata/o e quelli da cui ti hanno salvato loro. Non sono solo amici: sono testimoni e complici. Guai non averne».

Forse, a volte è il luogo che ci fa sentire diversi da noi stessi. Spesso si sente dire: Carpe diem – Cogli l’attimo. Un fine autore, Giuseppe Ferrara, nel suo libro “Vertebre sacrali” recita

Carpe locum

Ho detto che resterò qui ad amarti
e non che t’amerò per sempre
perché al tempo preferisco lo spazio,
cogliere un posto invece dell’attimo.
Non tanto dunque quanto durerà,
ma dove e come ti sarò vicino:
è più confacente a ingannare il tempo.

Fonte: Focus

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