Abbiamo fatto fatica ad accettare (e si fa per dire), la parola femminicidio nell’uso quotidiano del linguaggio. Ma molti termini entrano nel nostro modo di parlare, senza che quasi ce ne accorgiamo.
Recentemente, due episodi di cronaca hanno riguardato un altro termine: infanticidio. Infatti nelle ultime settimane, in due parti d’Italia, due mamme hanno ucciso i loro bambini. In entrambi i casi, i segnali erano chiari, non si poteva non vedere. Un bimbo aveva manifestato più volte di non voler stare con sua madre, aveva paura. Il padre aveva denunciato più volte.
Tutte le volte che avviene una tragedia, qualcuno dice che si poteva evitare. Forse, sarà banale generalizzare e rischiare di essere superficiali, ma quanta verità c’è dietro quelle parole?
Non siamo giudici e non vogliamo giudicare, non siamo nemmeno all’altezza degli esperti del campo, come psicologi e assistenti sociali, ma – sarà un caso forse? – quando avviene una tragedia, trapelano dettagli e particolari che a chiunque verrebbe di pronunciare quelle parole. Si poteva evitare?
Ricordo la tragedia dei carabinieri uccisi da esplosivo, mentre si accingevano a sgomberare la casa di tre fratelli. In quelle ore, escono video in cui i diretti interessati minacciano proprio di far saltare tutto per difendersi da un eventuale sfratto. Emergono dettagli, che ricostruiscono una realtà chiara, che parla di disagio economico, di disagio mentale, di eventuali raggiri e truffe nei loro confronti. Emerge la solitudine, l’emarginazione, le denunce, il “tutti li conoscevano”, “tutti sapevano”. Non possiamo giudicare, ma possiamo analizzare i fatti e la realtà, questo siamo in grado ancora di farlo.
Prima di arrivare la tragedia, c’è o dovrebbe esserci un lavoro degli assistenti sociali e degli psicologi. Nel caso di bambini (pensiamo che ci debba essere una protezione maggiore e nulla deve essere lasciato al caso) – avvengono incontri protetti con il genitore che ha problemi. Ciò vuol dire che la mamma e il bimbo si incontrano alla presenza di assistenti sociali, che monitorano lo stato della relazione. Durante gli incontri protetti, sarà difficile che la mamma si comporti male. Tutto viene registrato, vengono scritti chilometri di rapporti. Lo psicologo valuta lo stato di salute mentale della madre, se si presenta al centro di salute mentale, se prende le pillole.
Poi, si dice che la relazione madre-bambino è in continua evoluzione. Per tale motivo, se oggi una madre tenta di strangolare suo figlio, potrebbe cambiare idea, in nome di una ipotetica evoluzione della loro relazione. Queste ultime possono cambiare, crescere. Tutta la documentazione psicologia, quella redatta dagli assistenti sociali comprese le denunce, le minacce, le eventuali esternazioni che forse oggi o domani possa accadere qualcosa al bambino – tutto viene consegnato nelle mani del Giudice, il quale deve fare ciò che gli compete: giudicare.
Pulce non c’è: errore giudiziario dietro scelte sbagliate degli assistenti sociali?
Nel 2009 veniva pubblicato Pulce non c’è di Gaia Rayneri. Più tardi, in un articolo sul corriere di san Nicola scrivevo questo:
Gaia Rayneri esordisce nel 2009 pubblicando “Pulce non c’è” con Einaudi, la casa editrice con la quale collabora in qualità di lettrice di manoscritti; un’attività che affianca agli studi universitari di lettere e filosofia. Il libro che ha nel cassetto, però, prende forma da una storia realmente accaduta alla sua famiglia. Pulce è il nomignolo di sua sorella più piccola, affetta da autismo. Quando la madre va a prenderla a scuola, Pulce non c’è; é stata affidata ad una comunità. Solo la sorella e la mamma possono farle visita; inizia in questo modo il libro e l’incubo, un’ingiustizia durata troppo a lungo.
Assistenti sociali prima, Asl, tribunali e giudici poi stabiliscono che la bambina debba vivere (a loro dire) in un posto tranquillo. Tribunali, giudici e assistenti sociali hanno dei sospetti terribili sul papà, al quale non è permesso vederla.
“Pulce non c’è”, diventato nel 2012 anche un film (diretto da Giuseppe Bonito con Francesca Di Benedetto, Marina Massironi e Pippo Delbono), è un pugno nello stomaco a tanti, istituzioni comprese, che non hanno, purtroppo, gli strumenti necessari e la sensibilità per svolgere un compito delicato. L’errore giudiziario si è poi risolto (per chi?), se così si può dire: è rientrato senza colpevoli e senza che nessuno chiedesse scusa.
«Queste storie continuano a succedere», ci confessa Gaia. Prima di quel terribile episodio durato un anno, Pulce era una bambina felice, perché sorrideva sempre, coccolata dalla sua famiglia.
«Nessuno può sapere cosa le abbia lasciato quell’esperienza, -continua Gaia- nessuno lo può capire. Pulce è stata strappata letteralmente dai suoi affetti, senza ragione e senza che nessuno si fosse preoccupato di cosa provasse. Oggi, mia sorella alterna momenti buoni a crisi di disperazione; dopo quell’episodio ha perso sicuramente parte della sua serenità. Quando, in quel terribile periodo, le facevamo visita non ci fu permesso nemmeno di spiegarle (per quanto possibile) cosa stava accadendo.
La mia famiglia ha subìto quell’ingiustizia in diversi modi, come potete immaginare. Paradossalmente non siamo mai stati risarciti per quell’errore.
Il libro ha avuto successo, è vero, circola e se ne parla ancora oggi in molti ambienti. Spesso mi chiamano nelle scuole e in contesti nei quali è importante fare una buona informazione. Qualcuno mi dice che già questo è una sorta di risarcimento. Io, invece, credo che non sia giusto considerare un libro una sorta di rimborso; non esiste un risarcimento per il dolore e la sofferenza subìti a causa della leggerezza e dell’incompetenza di soggetti, che dovrebbero tutelare chi vive problemi complessi come questo. Quando è uscito il libro, in un primo momento abbiamo temuto ritorsioni, ma poi non è avvenuto nulla, tranne il fatto che chi ha “distrutto” la vita di una famiglia continua ad occupare tranquillamente il suo posto e a fare quello che faceva prima.
Ciò che mi conforta anche se in minima parte è che so per certo che questo libro ha aiutato tante persone, continua a farlo e in qualche caso ha fatto sì che episodi del genere non avvenissero».
Spoon River – La signora Charles Bliss
Il reverendo Wiley mi consigliò di non divorziare
per il bene dei bimbi,
e lo stesso consigliò a lui il Giudice Somers,
Così restammo insieme fino alla fine.
Ma due dei bimbi parteggiarono per lui,
e due dei bimbi parteggiarono per me.
I due che diedero ragione a lui mi biasimarono
e i due che diedero ragione a me lo biasimarono,
e soffrirono ciascuno per uno di noi,
e tutti si tormentarono per aver osato giudicarci
e si torturarono l’anima perché non potevano stimare
lui e me allo stesso modo.
Ora qualunque giardiniere sa che le piante cresciute in cantina
o sotto le pietre, sono stente, gialle e rarefatte.
Nessuna madre farebbe succhiare al suo bimbo
latte malato dal suo seno.
Eppure i preti e i giudici consigliano di allevare la prole
dove non c’è sole ma soltanto crepuscolo,
non calore, ma soltanto umido e gelo – i preti e i giudici!
Non ho altro da aggiungere

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