Con la sentenza n. 2860 del 9 settembre 2025, il Tribunale delle Imprese di Firenze ha messo la parola fine a una controversia durata oltre vent’anni tra un ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e l’Ente stesso.
In gioco non c’era soltanto una somma di denaro, ma la misura del riconoscimento dovuto a chi, lavorando nella ricerca pubblica, trasforma idee e sperimentazioni in innovazione concreta.
Il Tribunale ha confermato il diritto del ricercatore a percepire il 50% delle royalties generate dal brevetto di cui è inventore, chiudendo così una vicenda che negli anni aveva attraversato ogni grado di giudizio e alimentato un dibattito di principio su cosa significhi, davvero, “equo premio”.
La storia della controversia
Tutto comincia nei primi anni Duemila, quando un ricercatore dell’Area CNR di Pisa, impegnato nei processi chimico-fisici, sviluppa un’invenzione che l’Ente decide di brevettare a livello internazionale. Il brevetto viene poi concesso nel 2002 e, qualche anno più tardi, ceduto in licenza esclusiva mondiale a un’impresa privata. Da quella licenza derivano negli anni royalties rilevanti, ripartite tra CNR e inventore.
Fin qui, nulla di insolito.
Oggetto della controversia è l’individuazione della disciplina applicabile ai fini della corretta quantificazione di tali royalties, giacché a fronte dell’iniziale corresponsione del 20% delle royalties generate dal brevetto in base a un regolamento interno del 1982, l’inventore chiede il pagamento del 50% conformemente al regolamento emesso dallo stesso C.N.R. nel 2013. Il CNR nega la richiesta, sostenendo che a quella invenzione si applichi la disciplina risalente.
È l’inizio di una disputa che attraverserà più giudizi, fino alla decisione in questione.
Una questione di tempo
Il cuore della questione non è solo economico, ma temporale. A quale data si deve guardare per stabilire quale norma si applichi?
Il CNR ha sostenuto che la data di riferimento fosse quella del deposito della domanda di brevetto, avvenuta prima dell’entrata in vigore dell’articolo 7 della legge 383/2001 (poi trasfuso nell’art. 65 del d. Lgs. 30/2005 c.p.i.) che per la prima volta riconosceva al ricercatore pubblico la titolarità dell’invenzione e il diritto a un equo premio pari una quota dei proventi non inferiore al 50%.
Il ricercatore ha invece sostenuto che la data di riferimento fosse quella di concessione del brevetto, avvenuto nel 2002 e, soprattutto, che la corresponsione delle royalties è proseguita anno dopo anno, come rapporto in corso e non esaurito. Da qui la richiesta di applicare il regolamento del 2013, entrato in vigore quando il rapporto economico tra le parti era ancora vivo.
Il ragionamento del Tribunale
Il Tribunale di Firenze ha accolto questa impostazione, confermando un orientamento già espresso in altre decisioni dello stesso foro e dalla Corte d’Appello.
Secondo i giudici, il Regolamento CNR n. 122/2013 si applica anche alle “procedure in corso” alla data della sua entrata in vigore. E per “procedure in corso” non si devono intendere solo le pratiche amministrative ancora pendenti, ma anche tutti quei rapporti giuridici che, pur originati da invenzioni anteriori, continuano a produrre effetti economici nel tempo.
Il diritto all’equo premio, ha osservato il Tribunale, matura infatti anno per anno, sulla base delle royalties effettivamente percepite dall’Ente. Di conseguenza, anche se l’invenzione risale a un periodo precedente, le somme dovute per gli anni 2018 e 2019, oggetto della causa, devono essere calcolate secondo la regola del 50%. Il decreto ingiuntivo del 2020 che imponeva al CNR il pagamento di circa 125.000 euro viene così confermato integralmente.
La sentenza non si limita a riaffermare un principio economico.
Il Tribunale ha infatti ritenuto di applicare anche l’articolo 96, comma 3, del codice di procedura civile, condannando l’Ente a versare ulteriori 3.767 euro per lite temeraria. Una decisione simbolicamente significativa.
Secondo i giudici, il CNR aveva riproposto in sede di giudizio di merito argomentazioni già svolte in altri precedenti tra le medesime parti che hanno ricevuto smentita in sede giudiziale, e in passato aveva persino corrisposto spontaneamente al ricercatore la percentuale del 50%, ammettendo così la correttezza del criterio poi contestato. Un comportamento definito contraddittorio e “distorto rispetto ai fini tipici dei mezzi di tutela”, sufficiente a integrare la colpa grave richiesta dalla norma.
L’impatto sulla ricerca pubblica
La vicenda giudiziaria diventa così anche un caso emblematico di equilibrio tra l’interesse pubblico e quello individuale nella ricerca.
Il principio dell’equo premio, previsto sin dal vecchio R.D. 1127 del 1939 e riformulato nel tempo fino all’articolo 65 del Codice della Proprietà Industriale, serve a riconoscere al ricercatore un ritorno economico proporzionato al valore generato dalla sua invenzione, anche quando la titolarità formale del brevetto appartiene all’Ente.
In questa prospettiva, la sentenza fiorentina non introduce un principio nuovo ma lo consolida, chiarendo che l’equità non può essere limitata da formalismi temporali. Se il rapporto economico tra Ente e inventore continua nel tempo, anche la disciplina più favorevole deve potersi applicare, altrimenti l’equo premio smarrirebbe la sua funzione incentivante.
Per la comunità dei ricercatori pubblici, la decisione conferma che la quota del 50% delle royalties non è un privilegio ma una regola, e che gli enti devono attenersi a criteri di trasparenza e coerenza nella gestione dei proventi derivanti dai brevetti. Il riconoscimento economico dell’inventore è anche un riconoscimento simbolico: valorizza la responsabilità individuale dentro un sistema collettivo e stimola la partecipazione dei ricercatori ai processi di trasferimento tecnologico.
In tempi in cui la collaborazione tra ricerca pubblica e impresa è considerata una leva strategica per la competitività, riaffermare il principio dell’equo premio significa investire sulla fiducia e sulla motivazione di chi fa ricerca.
Compensi a dipendenti per creazioni intellettuali
L’Ordinamento italiano prevede norme per titolarità della proprietà intellettuale nel caso delle creazioni intellettuali di un dipendente.
Infatti, l’attività creativa che avviene all’interno di un rapporto lavorativo dipendente può far nascere confusione. Ciò accade, sicuramente quando non ci sono accordi preventivi tra datore di lavoro e dipendente, proprietario della creazione.
La disciplina che riguarda le invenzioni del dipendente è regolata dall’art. 2590 del Codice Civile e nell’art. 64 del Codice della Proprietà Intellettuale (CPI). Distinguiamo diversi casi:
a) Invenzioni di Servizio;
b) Invenzioni d’Azienda
c) Invenzioni Occasionali
Le invenzioni fatte da ricercatori universitari e di enti pubblici sono specificatamente regolamentate dall’Art. 65 CPI, che attribuisce ai ricercatori la proprietà dei diritti economici e brevettuali, con almeno il 50% dei proventi attribuiti al ricercatore dipendente in conformità di meccanismi indicati nello stesso articolo di legge.
Art. 12-bis Legge Autore – software e database: il datore di lavoro detiene il diritto esclusivo per l’uso economico del programma o del database creati dal dipendente durante l’espletamento delle proprie mansioni o in ottemperanza delle istruzioni ricevute dal datore di lavoro stesso. Nessun compenso extra è dovuto al dipendente.
Art. 88 – Legge Autore – fotografie: se lo scatto è stato prodotto nel corso e durante l’adempimento di un contratto di lavoro o di un incarico, entro i limiti dell’oggetto e delle finalità del contratto, il diritto esclusivo compete al datore di lavoro. Nessun compenso extra è dovuto al dipendente.
Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy definisce la concessione in licenza del brevetto
Un brevetto viene ceduto in licenza quando il relativo proprietario (il licenziante) concede il permesso ad altro soggetto (il licenziatario) di utilizzare l’invenzione (o il modello di utilità o la nuova varietà vegetale) brevettata per scopi concordati reciprocamente. In questi casi, un contratto di concessione viene generalmente firmato tra le due parti, specificando i termini e l’ambito dell’accordo.
Al contrario della vendita, la concessione in licenza di un brevetto a terzi consente di ricevere periodicamente delle retribuzioni (di solito si tratta di royalty) a fronte dell’autorizzazione all’utilizzo. Per tale motivo la concessione di una licenza può essere una strategia finanziaria molto valida dal punto di vista economico, particolarmente utile se il soggetto titolare del brevetto non si trova nella condizione di produrla del tutto o in quantità sufficiente per soddisfare una certa esigenza di mercato o coprire una determinata area geografica.
Ci sono tre tipi di accordi di licenza che dipendono dal numero di coloro che hanno ottenuto la stessa e che potranno sfruttare commercialmente il brevetto:
- licenza esclusiva: un solo concessionario ha il diritto di utilizzare la tecnologia brevettata, la quale non può essere usata dal proprietario del brevetto
- licenza unica: un solo concessionario, unitamente al proprietario del brevetto, ha il diritto di utilizzare la tecnologia brevettata
- licenza non esclusiva:diversi concessionari, verosimilmente in aree diverse, e il titolare del brevetto hanno il diritto di utilizzare la tecnologia brevettata.
La scelta se concedere una licenza esclusiva o non esclusiva dipende dal tipo di prodotto brevettato e dalla strategia commerciale dell’azienda. Ad esempio, se la tecnologia brevettata può diventare uno standard necessario per tutti coloro che fanno parte di un dato mercato al fine di realizzare i propri affari, una licenza non esclusiva largamente concessa sarebbe la più vantaggiosa. Se, invece, il prodotto necessita di notevoli costi per la sua commercializzazione (ad esempio, un prodotto farmaceutico che richiede investimenti per compiere esperimenti clinici) un potenziale licenziatario verosimilmente non desidererebbe la concorrenza di altri licenziatari e, comprensibilmente, potrà cercare di ottenere una licenza esclusiva.
Quanto alla redditività di una licenza, nei contratti di concessione il proprietario del diritto generalmente è remunerato mediante pagamenti forfettari e/o attraverso la riscossione periodica di royalty, che si possono basare sul volume di produzione del prodotto in concessione (royalty per unità di produzione) oppure sulle vendite nette (royalty sulle vendite nette). In molti casi la remunerazione per la concessione di un brevetto è una combinazione di pagamento forfettario e royalty. Talvolta, una quota del capitale della compagnia del licenziatario può sostituire una royalty.
Mentre gli standard industriali per le percentuali di royalty esistono per particolari industrie e possono essere utilmente consultati, si deve ricordare che ogni accordo di concessione è unico e che la percentuale di royalty dipende da fattori particolari e molto precisi che vanno negoziati. Ne segue che gli standard industriali possono servire come utile guida iniziale, ma il rapportarsi ad essi in maniera eccessiva può essere fuorviante.
Fonti: Brevettinews, Lexellent

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