L’istruzione e la formazione dei giovani sono temi centrali sui quali il dibattito è sempre acceso. L’educazione dei nostri ragazzi è fondamentale, perché saranno i cittadini del futuro e influenzeranno la cultura e saranno i protagonisti del cambiamento.
La scuola è lo spazio in cui si formano competenze sociali, emotive e relazionali indispensabili per affrontare il mondo e la vita.
da pagina social – La situazione è grammatica – racconti veri di scuola
Mi chiamo Federica. Ho 32 anni. Insegno scienze in una scuola media.
Ieri è successa una cosa che mi ha fatto capire dove stiamo andando. O meglio, dove stiamo sprofondando. Seconda media. Ventiquattro alunni. Bravi ragazzi. O almeno, così pensavo.
La settimana scorsa abbiamo iniziato un progetto. In classe. Insieme. Un cartellone sul sistema solare. Lavoro di gruppo. Semplice. Chiaro. Da finire a casa in cinque giorni.
Ieri mattina entro in classe. “Ragazzi, avete finito il cartellone?” Silenzio.
“Chi ha finito?”
Dieci mani alzate. Su ventiquattro. “Gli altri?”
Niente. Sguardi bassi. Qualcuno che si gratta la testa. “Scusate, avete avuto cinque giorni. Cinque. Cosa avete fatto?”
Partono le scuse. “Prof, io non avevo capito.” “Prof, pensavo che lo finivamo in classe.” “Prof, io ero malato.” “Prof, avevo troppi compiti.” -Li guardo. Uno per uno. “Ragazzi, questo è mancanza di rispetto. Verso me. Verso i vostri compagni che hanno lavorato. Verso voi stessi.” Silenzio.
“Allora facciamo così. Quest’ora la usate per studiare. Venerdì vi interrogo. Tutti.”
APRITI CIELO.
“Ma prof!” “Non è giusto!” “Ma noi non sapevamo!” “Ma prof, venerdì abbiamo già matematica!” “Venerdì vi interrogo. Fine.” -Esco dalla classe. Vado in sala professori. Sono arrabbiata. Delusa. Stanca.
Ore 15. Sto correggendo compiti. Squilla il telefono. È la coordinatrice. “Federica, devo dirti una cosa. I ragazzi della seconda si sono lamentati.”
“Di cosa?” “Dell’interrogazione di venerdì. Dicono che è stata data senza preavviso. Che è una punizione.” Rimango zitta. “Federica, ci sei?”
“Sì. E quindi?” “E quindi volevo avvisarti che probabilmente ti arriverà una mail. Dai genitori.”
“Una mail.” “Sì. I rappresentanti hanno scritto alla classe.” Riattacco. Ore 19:15. Apro la mail. C’è un messaggio. Mittente: rappresentante di classe, Giulia.
Oggetto: “Richiesta chiarimento”. Leggo.
“Gentile professoressa, a nome della classe, vorrei chiarire un malinteso avvenuto oggi durante la lezione. Noi ragazzi non avevamo compreso bene le consegne del progetto e pensavamo di poterlo terminare in classe. L’interrogazione di venerdì ci sembra una punizione eccessiva, considerando che non era programmata. Confidiamo nella sua comprensione e disponibilità a riprogrammare la verifica.
Cordiali saluti, Giulia”
Rileggo. “A nome della classe.” “Malinteso.” “Confidiamo nella sua comprensione.” Guardo l’orario. 19:15. Giulia ha tredici anni. Questa mail non l’ha scritta lei. L’hanno scritta i genitori.
Chiudo il computer. Mi alzo. Vado in cucina. Mio marito mi chiede cosa c’è. “Niente. I genitori che scrivono le mail al posto dei figli.” “E tu cosa fai?” “Non lo so.”
Quella sera non dormo. Penso. Ripenso. Mi arrabbio. Mi calmo. Mi arrabbio di nuovo. La mattina dopo entro in classe. I ragazzi mi guardano. Qualcuno sorride. Pensano di aver vinto. “Ragazzi, ho ricevuto la mail di Giulia.” Giulia arrossisce. Gli altri guardano me. “La mail era scritta bene. Educata. Formale. Peccato che Giulia non l’abbia scritta lei.”
Silenzio. “Qualcuno vuole dirmi chi l’ha scritta?” Nessuno parla. “Va bene. Allora vi dico io. L’hanno scritta i vostri genitori. Che invece di insegnarvi a prendervi le vostre responsabilità, vi insegnano a scaricarle.”
Pausa. “L’interrogazione di venerdì resta. Perché non è una punizione. È una conseguenza. Voi non avete fatto il lavoro. Io vi interrogo. Fine.” Un ragazzo alza la mano. “Ma prof, i nostri genitori hanno detto che…” “I vostri genitori non sono in questa classe. Voi sì. E siete voi che dovete rispondere. Non loro.” Fine della discussione. Venerdì ho interrogato. Tutti. Qualcuno è andato bene. Qualcuno male. Ma tutti hanno studiato.
Dopo una settimana ho ricevuto un’altra mail. Dai genitori. Questa volta firmata. Si lamentavano del voto basso. Dicevano che avevo esagerato. Che ero stata troppo severa. Ho risposto.
“Gentili genitori, i voti rispecchiano la preparazione dei ragazzi. Se i vostri figli avessero studiato, avrebbero preso voti migliori. La prossima volta, invece di scrivere mail al posto loro, aiutateli a studiare. Cordiali saluti,
Prof. Federica”
Non ho più ricevuto mail. Ma la settimana dopo, in classe, un ragazzo mi ha detto: “Prof, mia madre ha letto la sua risposta. Ha detto che ha ragione.” Ho sorriso. “Tua madre è intelligente.”
Sono passati due mesi. La classe è cambiata. Non completamente. Ma un po’ sì. Adesso quando do un compito, lo fanno. Non tutti. Ma la maggior parte sì. E soprattutto, adesso quando sbagliano, non mandano i genitori. Vengono loro. E questo, forse, è il vero insegnamento. Non la scienza. Non il sistema solare. Ma la responsabilità. Quella non la imparano sui libri. La imparano qui. In classe. Quando capiscono che le conseguenze esistono. E che nessuno può proteggerli per sempre.

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