Tempi duri per il Greenwashing e pubblicità ingannevole

Dopo anni di lotta, forse qualcosa sta cambiando nel mondo della sostenibilità e della pubblicità ingannevole. Un nuovo testo di legge è in lavorazione e il suo iter non è ancora concluso, ma potrebbe rappresentare una vera rivoluzione per il greenwashing. Il prossimo step è il passaggio della direttiva al Consiglio che dovrà votare il via libera definitivo. Solo allora la Direttiva sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e, a partire dalla data di pubblicazione, gli Stati membri avranno 24 mesi di tempo per recepirla internamente.

Qual è il significato di greenwhasing, ormai se ne è parlato molto, anche in occasione del Festival di Sanremo.  Con il termine greenwashing si intende la condotta scorretta di alcune aziende (generalmente multinazionali) che nascondono, con strategie di marketing mirate, il loro impatto negativo sull’ambiente.

Greenpeace e anche altre associazioni ambientaliste, sono da anni sul piede di guerra, decisi a non darla vinta a chi occulta le sue vere intenzioni, e fa pubblicità ingannevole. Parliamoci chiaro, un po’ tutti gli spot ingannano i consumatori. Non esiste la famiglia del mulino bianco, eppure, giurano che è così, ci promettono che quel prodotto o servizio cambierà la nostra vita.

Greenwashing legge: la nuova direttiva 2024/825/UE

Il 6 marzo 2024 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il nuovo decreto contro il Greenwashing, che inserisce un elenco dettagliato di pratiche commerciali che gli Stati Membri devono considerare “sempre sleali”, in quanto ingannevoli.

Greenwashing e consumatori consapevoli

Oggi i consumatori sono più consapevoli; sono attenti alle etichette, a ciò che mangiano o consumano, insomma, ci si informa di più. Inoltre, un sentimento di protezione verso l’ambiente si è allargato notevolmente. Allora, qual è la strategia giusta per le aziende per sopravvivere? Semplicissimo: Far credere di essere sostenibili. E i consumatori, ormai diventati più consapevoli, dovrebbero fare un passo indietro e credervi?

Il Parlamento europeo, grazie all’aumentata sensibilità verso un mondo green, ha dato il via libera a una legge contro il greenwashing, con regole ben precise che proteggono i consumatori dalle aziende che mettono in pratica forme di comunicazione ingannevoli.

Consumatori ingannati e trattati come imbecilli

Il pericolo è dietro l’angolo, le aziende pensano davvero di tutto. Esempio: Va in onda uno spot di una finanziaria che promuove i suoi prestiti a tassi agevolati. Ebbene, sembra incredibile, ma lo spot fa intendere che un tizio su uno scooter sotto la pioggia, chiederà un prestito per realizzare i suoi progetti green. E anche se fosse, da cosa si deduce che la compagnia di prestiti sia Green? Oltre a questa, ce ne sono tante di pubblicità che richiamano la sostenibilità senza esserlo, che inseriscono nei loro spot messaggi green, senza esserlo per nulla.

Greenpeace ha accusato dodici colossi dell’energia di pubblicità ingannevole e greenwashing. Il rapporto commissionato dall’associazione ambientalista ha confrontato la quantità di elettricità rinnovabile generata dalle aziende (eolica, solare, geotermica e idroelettrica) con la quantità di energia che forniscono attraverso la loro produzione di petrolio e gas.

La ricerca condotta ha evidenziato che le 12 aziende si sono impegnate pubblicamente a raggiungere zero emissioni entro il 2050. C’è solo un piccolo particolare, nessuna compagnia ha sviluppato una strategia per raggiungere quel traguardo. Anzi, alcune società hanno pianificato il loro lavoro, affinché il traguardo di zero emissioni si allontanasse sempre di più, aumentando la produzione di petrolio e gas almeno fino al 2030. Per tale motivo, Greenpeace ha richiesto ai governi europei sia di tassare i profitti delle aziende di combustibili fossili per pagare la transizione a bassa energia, e una regolamentazione più severa per evitare la distruzione dell’ambiente e imporre investimenti in infrastrutture verdi.

Le 12 aziende incluse nel rapporto sono BP, Shell, Eni, Equinor, Repsol, Totalenergy, Omv, Pkn Orlen, Mol, Wintershall Dea, Petrol Group e Ina Croatia. 

Cosa prevede la legge Greenwashing?

Per anni le società di fossili inquinanti non hanno utilizzato una comunicazione corretta e chiara, a scapito dei consumatori. E continuano a farlo oggi!  La trasparenza , per fortuna è uno degli elementi cardine della nuova legge contro il Greenwashing approvata dal Parlamento Ue il 17 gennaio 2024, con 593 voti favorevoli, 21 contrari e 14 astensioni.

Lo scopo della legge è quello di proteggere i consumatori dalle pratiche commerciali ingannevoli, che tante aziende perpetuano, grazie a spot, etichette e frasi fuorvianti. In questo modo, per anni, queste aziende hanno veicolato informazioni false e ingannevoli, sul rispetto dell’ambiente. Finalmente, è in arrivo una legge che tutela un diritto: il rispetto per l’ambiente e il rispetto per il consumatore, che stupido non è.

Dopo l’approvazione della legge, l’elenco delle pratiche commerciali scorrette diventerà più lungo, e saranno imposti nuovi divieti alle aziende che usano “l’ambientalismo di facciata” e promuovo “l’obsolescenza programmata”.

Le regole riguarderanno anche la trasparenza delle etichette

I termini BIO, ECO, GREEN non potranno più essere usati alla leggera, senza che dietro ci sia verità riguardo alle tecniche di produzione.

Infine, l’obsolescenza programmata (perdita di efficienza) è diffusissima, e non riguarda solo prodotti tecnologici come cellulari, tablet, telefoni e PC.

La legge contro il Greenwashing promuove maggiore attenzione alle informazioni sulla garanzia dei singoli prodotti. Date di scadenza, termini e condizioni, dovranno essere più visibili e chiare.

Saranno, dunque, vietate le informazioni inesatte sulla durata e le dichiarazioni false sulla possibilità di riparare il prodotto. Le etichette pericolose e non trasparenti sotto accusa sono generalmente di colore verde, indicano carta riciclata, con spot pubblicitari fuorvianti.

Quali segnali indicano l’affidabilità di un marchio?

  • Uni En Iso 14024, rilasciata da un ente terzo, relativamente a prodotti con un ridotto impatto ambientale;
  • Uni En Iso 14025, rilasciata da un organismo accreditato e indipendente, per prodotti con ridotto impatto ambientale dell’intero ciclo di vita, dalla produzione alla messa in commercio;
  • marchio europeo Ecolabel, un marchio che attesta elevati standard ambientali e promuove l’economia circolare.

Si tratta di alcune delle certificazioni più importanti sulle etichette o sul retro dei prodotti.

In questi giorni, continua l’eco suscitata dalla vicenda Ferragni sulla pubblicità ingannevole. Ci si interroga sul mondo degli influencer, sull’inganno perpetrato ai danni dei consumatori, con le relative sfaccettature del caso. La vicenda è solo la punta dell’iceberg, e il clamore ha seguito semplicemente la popolarità della coppia Fashion blogger e cantante rap. Senza assolvere né condannare, verrebbe da pensare ai tantissimi casi di inganno ai danni dei poveri consumatori, non meno gravi.

Nel 2022 fu realizzato un articolo da Robin Hicks, pubblicato su Eco-Business, in cui si l’autore elencava alcuni casi di falsa informazione ambientale. In breve:

  • Big Oil: le dichiarazioni ecologiche superano gli investimenti ecologici
  • H&M: finzione veloce
  • Dbs: più ritardataria dell’azione per il clima, meno eco-guerriera
  • Unilever: promesse di plastica false
  • Coldplay: il tour della deforestazione
  • Deutsche Bank: un caso emblematico contro gli investimenti verdi?
  • Giappone: ridurre le emissioni di carbone con l’ammoniaca
  • Gran Premio di Singapore: “Sulla buona strada” per la decarbonizzazione senza dati sul carbonio
  • Australia: conservare la barriera corallina sostenendo i combustibili fossili che danneggiano i coralli
  • Boohoo: sostenibilità al servizio delle Kardashian
  • Wwf: bruciare la plastica è pulito
  • Hsbc: Coltiviamo alberi (ma anche centrali a carbone)

Vediamo nel dettaglio la “black list” delle pratiche commerciali sleali:

  • Pubblicizzare delle caratteristiche di sostenibilità di prodotti e/o servizi come un vantaggio per il consumatore, quando queste caratteristiche non sono in realtà collegate direttamente al prodotto, all’impresa o alla produzione
  • Utilizzare dei confronti tra i propri prodotti e la concorrenza oppure tra differenti versioni dei propri prodotti per promuovere caratteristiche ambientali, sociali e di durabilità in modo non oggettivo.
  • Utilizzo di marchi di sostenibilità non basati su certificazioni effettive o stabiliti da autorità pubbliche
  • Comunicazione di claim o asserzioni ambientali generiche che danno l’impressione di un’eccellenza ambientale
  • Formulare una comunicazione sull’impatto ambientale di un prodotto quando la strategia di riduzione di questo impatto ambientale è basata esclusivamente sulla compensazione di emissioni di gas serra
  • Presentare requisiti imposti per legge come vantaggi di un prodotto, di un servizio o di un’impresa per il consumatore.
  • Non comunicare che aggiornamenti software possono incidere negativamente sulle performance di un prodotto digitale
  • Le comunicazioni relative ad un presunto vantaggio di una funzionalità che in realtà limita la durabilità del prodotto, come la pubblicità di un sistema operativo che ha programmati internamente sistemi di obsolescenza programmata.
  • Le comunicazioni relative alla durabilità di beni nel tempo che non sono basate su condizioni d’uso normali, in termini di tempo e d’intensità d’uso.

La nuova direttiva richiede agli Stati membri di adottare e divulgare entro il 27 marzo 2026 le misure necessarie per conformarsi alle nuove normative, e di applicarle a partire dal 27 settembre dello stesso anno.

Fonte: infobuildenergia

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