Di recente mi è capitato di leggere un articolo su TheGuardian: Struggling to achieve perfection? This nautical metaphor might help che tradotto significa
Lottando per raggiungere la perfezione? Questa metafora nautica potrebbe aiutare
Nell’articolo si legge:
Siamo come marinai su una nave che ha lasciato il porto tanto tempo fa e adesso avrebbe urgente bisogno di riparazioni. Ma invece di tornare indietro è meglio rattoppare le vele. È facile razionalizzare questo atteggiamento definendolo il desiderio di fare le cose come si deve, ma in realtà quello che vogliamo è farle alla perfezione, con il risultato che o non le cominciamo mai o le cominciamo ma poi ci sentiamo in colpa perché non raggiungiamo mai la perfezione che vorremmo.
Standard irraggiungibili
Ultimamente, mi capita spesso di vedere persone che cadono nella trappola del tutto o niente anche nei confronti delle cause sociali. Forse con il confinamento hanno cominciato a rendersi conto dell’importanza della comunità, perciò giurano che non permetteranno mai più che il loro lavoro li distolga dal dovere di essere buoni vicini. O magari le violenze della polizia li spingono ad andare su Twitter per dichiarare che sono antirazziste e giurare che da quel momento in poi si concentreranno sulla lotta alle ingiustizie razziali.
Sono sentimenti ammirevoli ma, anche in questo caso, entra in gioco il perfezionismo: è difficile mantenere alto l’impegno a fare veramente la differenza se il nostro standard di successo è la totale modificazione del modo in cui spendiamo il nostro tempo e le nostre energie.
Per adattare un’analogia del filosofo austriaco Otto Neurath, siamo come marinai su una nave che ha lasciato il porto tanto tempo fa e adesso avrebbe urgentemente bisogno di riparazioni. Vorremmo poter tornare alla darsena e farla risistemare perfettamente – organizzare la nostra vita come ci piacerebbe che fosse – per poi ripartire.
In questo articolo forse ci sono le ragioni dell’immobilismo (o una parte di esse)
Un utile cambio di prospettiva è quello di imparare a sopportare il disagio di fare le cose in modo imperfetto considerandolo un progetto di miglioramento in sé.
Ancora la metafora della nave, se vogliamo, nella frase sopra in grassetto. Alcuni giorni fa ho tinteggiato le pareti di casa, ho sistemato dando una disposizione diversa, agli oggetti, che avevo messo temporaneamente negli scatoloni. La sensazione di stare su un cantiere lavori e in alto mare è forte. Forse, l’articolo di TheGuardian ha più di una ragione dalla sua parte. Probabilmente, non si riferisce solo a cosa fare o alla perfezione in se. Ho buttato via molte cose e poco fa ho acquistato due Puff contenitori per liberare un po’ di spazio nell’armadio. Nel frattempo la perfezione non è ancora arrivata, e l’ordine che cerco di mettere nei pensieri è un Work in Progress continuo. Lo so che dopo mi sentirò meglio, ne hanno parlato tanti libri (di minimalismo, di buttare via il superfluo, di mettere ordine in casa); dopo aver fatto spazio, buttato via cose inutili, dopo l’ordine ricostituito, me lo ripeto da giorni: mi sentirò meglio. Aggiungo, dopo aver chiuso qualche porta, finito il libro che sto leggendo, risolto alcuni dubbi ed enigmi, di sicuro mi sentirò meglio.
Da questo punto di vista, la qualità che contraddistingue l’attivista di successo (o il ginnasta, il riordinatore o qualsiasi altra cosa) è proprio la sua capacità di resistere alla tentazione di chiedere a se stesso la perfezione, e di considerare ogni minimo risultato decisamente preferibile alla sua unica vera alternativa, che è non fare nulla – continua l’articolo
Non fare nulla significa proprio non fare nulla? Quando non si fa nulla, il tempo è proprio buttato via? Mi pare anche di aver letto qualcosa riguardo l’utilità del tempo perso, e dell’ozio (non come vizio), da praticare ogni tanto o qualche ora al giorno, come una sorta di Reset o Rigenerazione. Non è vero, dunque, che in quelle due ore di ozio apparente non ho fatto nulla, anzi, è avvenuto qualcosa, una pulizia cerebrale, un riposo della mente, una sospensione creativa e rigenerativa.
In realtà, l’analogia con la nave di Neurath è utile per riflettere sull’intera questione di come rendere questo nostro mondo travagliato un posto migliore. Come dice il filosofo Christopher J. Lebron
“La nave è riuscita a salpare ma non è all’altezza del viaggio. Abbiamo del materiale a portata di mano e abbiamo imparato qualcosa su come funziona una nave. Non possiamo abbandonarla perché annegheremmo tutti. Perciò la ripariamo lungo la rotta, a pezzi e bocconi, a volte riuscendoci meglio a volte peggio. In fondo, è più o meno così che funziona una democrazia”.
…in attesa della perfezione
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