Il sistema dell’informazione tossica: liberi da ogni potere

Il sistema globale dell’informazione è diventato tossico e turbolento, capace di influenzare  gli orientamenti  e i comportamenti delle persone. Le dinamiche di questo gioco sono complesse e difficili da interpretare, ma è necessario avere un quadro chiaro della situazione prima che ci sfugga di mano.

Il problema delle fake news

Per attingere a informazioni di qualità è fondamentale che sia le persone  sia i governi decidano bene. I social hanno inziato a muovere i primi passi nel 2004 con facebook, mentre Youtube nel 2005, Twitter 2007, Instagram nel 2010, e dopo sono arrivati altri. Fin da subito, ad alcuni osservatori non è sfuggito che i social network stessero disegnando un nuovo ecosistema.

Nel web aumenta la velocità di consegna delle notizie. Il costo medio di produzione e la qualità delle notizie diminuiscono. Le persone sono incentivate a investire sempre più tempo per consumare sempre più notizie irrilevanti e di cattiva qualità.

Gli utenti vengono profilati, si confezionano notizie su misura, anche alterandole, tanto da risultare più consone al modo di pensare delle persone. Tutto questo si traduce in manipolazione dell’opinione pubblica attraverso la pubblicazione di notizie false. Solo nel 2018 si inizia a comprendere che proporzioni possa avere questo sistema, quando scoppia lo scandalo Cambridge Analytica.

I siti che diffondono fake news guadagnano oltre un miliardo e mezzo di dollari all’anno attraverso le inserzioni pubblicitarie. L notizie false, dunque, hanno un mercato e costi di produzione bassissimi, infatti, non è necessario avere competenze, verifiche, indagini sul campo. Purtroppo, le fake news arrivano a molte più persone e viaggiano con più velocità.

Le notizie false sorprendono, scandalizzano, impauriscono, innescano odio verso qualcosa o qualcuno, fanno leva, in poche parole, su emozioni del momento, senza dare spazio alla riflessione. Per questo  motivo hanno un pubblico enorme, e a quello sono interessati gli inserzionisti.

Questi ultimi, inconsapevoli, a volte, regalano soldi, finanziando la disinformazione. Per questo motivo, bisognerebbe affidare la propria campagna a professionisti e verificare in prima persona il contenuto di articoli e siti di destinazione per guest post, link building e campagne pubblicitarie.

Ecco come la fabbrica della disinformazione cresce e riceve molti più aiuti economici rispetto all’informazione vera.  Nel 2020 solo Facebook  avevail 45 per cento dell’investimento pubblicitario mondiale. Google il 10%.

Disinformazione: un nuovo colonialismo

Un nuovo tipo di colonialismo

A fronte di guadagni enormi, la tassazione è sempre stata irrisoria: per anni i colossi digitali hanno spostato i loro profitti nei paradisi fiscali. Finalmente 136 paesi hanno concordato di applicare, a partire dal 2023, una (modesta) aliquota del 15 per cento sui profitti, e di farlo là dove i guadagni sono realizzati.

I due creatori di Google e Facebook sono oggi nel gruppo dei dieci uomini più ricchi del mondo (dello stesso insieme fanno parte anche il signor Amazon, il signor Microsoft e il signor Oracle).

Facebook si comporta come una potenza straniera ostile; è ora che lo trattiamo come tale, titola l’Atlantic, l’autorevole rivista statunitense. Il social network raggiunge oggi 2,9 miliardi di utenti attivi mensili: più delle popolazioni di Cina e India messe assieme.  L’Atlantic continua,  Facebook andrebbe considerato come una potenza straniera ostile perché è focalizzato esclusivamente sulla propria espansione e sull’incremento dei propri guadagni.

Secondo il politologo e storico Benedict Anderson, le nazioni non sono definite dai loro confini ma dalla loro immaginazione. In questo senso, Facebook pratica un nuovo tipo di colonialismo. È progettato per suscitare reazioni emotive forti. Ha condotto esperimenti sulle reazioni psicologiche degli utenti senza il loro consenso e ospitato contenuti che incitano all’odio e al terrorismo.

Ricordiamo che, per esempio, alla disinformazione tramite Facebook nel 2018 viene imputato il massacro dei rohingya in Birmania. E che a Facebook è attribuito un ruolo centrale nell’assalto di Capitol Hill.

Di neocolonialismo tecnologico parla anche Yuval Noah Harari, storico, saggista e professore universitario israeliano, intervistato da Repubblica, il quale dice che se prima le diseguaglianze erano nei possedimenti terrieri, oggi lo sono nei big data, l’asset più prezioso della nostra epoca. È estremamente rischioso che questa enorme mole di dati sia in mano a giganti come Facebook, Google, Alibaba. Se non fermati subito, le disparità saranno sempre più estreme. Potrebbe scatenarsi un nuovo colonialismo digitale.

Un coinvolgimento di Facebook risulta perfino nella vendita illegale, e nella conseguente deforestazione, di parti della foresta pluviale: la fonte è la Bbc, che ha condotto un’approfondita indagine in merito.

Un eccellente articolo del New York Times, segnala che facebook, con il Project Amplify, ha avviato un’intensa attività per tutelare e ricostruire la propria immagine, utilizzando il NewsFeed per presentare storie positive, e prendere distanze dagli scandali.

Facebook, Instagram, Whatsapp: Un blackout storico

Il 4 ottobre 2021 Facebook, Instagram e WhatsApp si spengono per sette ore circa a causa di un errore umano nella configurazione dei router. È il blackout più lungo di sempre. Il titolo perde 6,11 miliardi di dollari. L’interruzione, come scrive TheGuardian, evidenzia la dipendenza verso i social network e mette in risalto quanto i social dominano le nostre vite.

Facebook aiuta le persone a restare connesse e a lavorare, e su questo non vi è alcun dubbio. Per le sue infinite possibilità, è anche uno strumento che può danneggiare le menti, la socialità, influenzare l’informazione, manipolare e destabilizzare le democrazie. Proprio per questi motivi, bisognerebbe assumersi le responsabilità e creare sistemi di controllo più consistenti ed efficaci.

Il problema vero non è dunque il web, ma l’informazione tossica, quella che manipola, quella fuorviante, che crea convinzioni pericolose, che allontana dalla logica e dalla vera libertà di opinione. Non tutti hanno gli stessi mezzi intellettuali per poter riconoscere e privilegiare l’informazione di qualità, per cui, questo tema ha bisogno di essere approfondito ed è arrivata l’ora che i governi intervengano seriamente.

Frances Haugen, ex dipendente Facebook, ha consegnato i suoi Facebook files a un quotidiano autorevole come il Wall Street Journal.  Basterebbe questa scelta a rimarcare, proprio in tempi turbolenti come questi, l’importanza dei giornali, della loro credibilità e del loro ruolo di controllo nei confronti di ogni potere.

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