Scoperto in Calabria un primo caso di “Trichinosi” nelle carni di un cinghiale abbattuto nel territorio di Rose, in provincia di Cosenza, durante una battuta di caccia.
Lo ha comunicato l’Istituto Zooprofilattico di Cosenza all’Azienda sanitaria provinciale. Quali sono le modalità di trasmissione, i sintomi e la prevenzione.
Le larve di “Trichinella” sono state rilevate nelle carni di un animale sottoposte dopo l’abbattimento a controllo dal Servizio Veterinario Area igiene degli alimenti di origine animale dell’Asp cosentina.
In Calabria è il primo caso del genere per quanto riguarda i cinghiali e l’episodio crea preoccupazione trattandosi di una malattia trasmissibile dall’animale all’uomo, ma non da uomo ad uomo, veicolata con carni non controllate consumate poco cotte o con salumi preparati con carni infestate dal parassita.
La Trichinella: Cos’è?
La Trichinella è un verme cilindrico, visibile solo al microscopio che vive nell’intestino ma le cui larve migrano nei muscoli dove rimangono capaci, se ingerite, di trasmettere la malattia ad altri animali o all’uomo. La trasmissione nell’animale avviene per consumo di carogne parassitate.
L’ISS dà la seguente definizione:
La trichinellosi (detta anche trichinosi) è una zoonosi causata da vermi cilindrici (nematodi) appartenenti al genere Trichinella, un parassita che inizialmente si localizza a livello intestinale per poi dare origine a una nuova generazione di larve che migrano nei muscoli, dove poi si incistano.
Il parassita è in grado di infettare i mammiferi, gli uccelli e i rettili, soprattutto quelli carnivori e onnivori (maiale, volpe, cinghiale, cane, gatto, uomo).
Trichinosi: Modalità di trasmissione
La trasmissione all’uomo avviene esclusivamente per via alimentare, attraverso il consumo di carne cruda o poco cotta contenente le larve del parassita. In Italia, il veicolo di trasmissione è la carne suina (maiale o cinghiale), equina e più raramente di carnivori selvatici (volpe). La trichinosi non si trasmette da persona a persona.
Il periodo di incubazione è generalmente di circa 8-15 giorni, ma può variare da 5 a 45 giorni a seconda del numero di parassiti ingeriti.
I sintomi e la diagnosi
Nell’uomo il quadro clinico varia dalle infezioni asintomatiche a casi particolarmente gravi, con alcuni decessi. La sintomatologia classica è caratterizzata da diarrea (che è presente in circa il 40% degli individui infetti), dolori muscolari, debolezza, sudorazione, edemi alle palpebre superiori, fotofobia e febbre.
La diagnosi viene suggerita dalla presenza di marcata eosinofilia (fino al 70%), leucocitosi, aumento degli enzimi muscolari (Cpk) e confermata attraverso esami sierologici, o biopsia muscolare positiva per Trichinella.
Trichinosi: La Prevenzione
La trichinellosi può essere prevenuta osservando le seguenti misure igienico-sanitarie:
- La carne va consumata ben cotta, in modo che le eventuali larve presenti vengano inattivate o distrutte dal calore (è sufficiente 1 minuto a 65°C). Il colore della carne deve virare dal rosa al bruno
- La selvaggina e i maiali macellati a domicilio devono essere esaminati da un veterinario per determinare l’eventuale presenza delle larve del parassita nelle carni
- Se non è noto se la carne è stata sottoposta a esame trichinoscopico, è bene congelarla per almeno 1 mese a -15°C: un congelamento prolungato, infatti, uccide le larve
- Nel caso si allevino maiali, impedire che mangino la carne cruda di animali, anche ratti, che potrebbero essere stati infestati dal parassita
- Quando si macella la propria carne in casa, pulire bene gli strumenti
- Salatura, essiccamento, affumicamento e cottura nel forno a microonde della carne non assicurano l’uccisione del parassita.
In precedenza, nella provincia di Cosenza, la Trichinosi negli animali selvatici è stata riscontrata nel lupo e nel 1987 nelle volpi. A seguito di quanto accaduto – fanno sapere dall’Asp di Cosenza – c’è la necessità di mantenere alta la guardia sul rischio di trasmissione all’uomo e ai suini, in particolare a quelli allevati allo stato brado e negli allevamenti rurali. In Italia sono 1.525 i casi accertati nell’uomo con l’ultimo focolaio nel 2020 in Val di Susa che ha coinvolto venti persone per consumo di salumi di cinghiale.
Fonte: ANSA
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