Inazione climatica, causa contro lo Stato italiano

L’Italia è responsabile di inadempienza nel contrasto all’emergenza climatica: il 14 dicembre la prima udienza a Roma

La causa per inazione climatica è stata avviata a giugno al Tribunale Civile di Roma nei confronti dello Stato, rappresentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri da 203 ricorrenti: 17 minori – rappresentati in giudizio dai genitori, 162 cittadini e 24 associazioni, e ora lo Stato Italiano, come già successo in altri Paesi come Olanda, Francia, Germania e Regno Unito,  dovrà rispondere in aula delle sue responsabilità di fronte all’emergenza climatica.

Si fa presto a dire transizione ecologica, Cop26 e G20, sono belli anche tutti i buoni propositi, ma se non esiste la volontà di salvare l’ambiente, tutte queste iniziative restano solo parole, come ha anche detto, il nostro Presidente del consiglio, Mario Draghi, durante il G20. Oppure come ha ribadito Greta Thunberg, attirando l’ira, l’odio e il disprezzo di alcuni: Bla Bla Bla.

Sono anni che Greenpeace porta avanti numerose battaglie per le inadempienze dello Stato, in tutte quelle occasioni, in tutti quei luoghi, dove lo Stato italiano dovrebbe esserci e far sentire la sua voce, per fortuna ci sono attivisti che denunciano.

Prima dello stato italiano sono finiti in tribunale tanti altri paesi, come Olanda, Francia, Germania, e ciò significa due cose: prima che i cittadini, oltre alle proteste, hanno a disposizione anche altri mezzi per ribellarsi e soprattutto farsi risarcire (anche se la vita non ha un prezzo definito). Seconda cosa, che passando all’azione, forse qualcosa riesce a muoversi, anche se si tratta ancora di troppo poco.

Primo ricorrente dell’azione è l’Associazione A Sud, da anni attiva nel campo della giustizia ambientale e nella difesa dei diritti umani che l’emergenza climatica rischia di compromettere. Tra gli altri ricorrenti anche Isde Italia e Coordinamento Nazionale no triv.

Non è la prima volta che il clima arriva in tribunale

L’Eni, l’ente nazionale idrocarburi può continuare a trasmettere spot pubblicitari che parlano di energia verde e pulita, o di come vorrebbe salvare l’ambiente. L’assurdo è che tali affermazioni arrivino proprio dalla società che ha distrutto gli ecosistemi in tantissime parti del mondo. Quelle popolazioni, ora stanno reagendo, trascinando l’Eni e chi vi è a capo, nei tribunali, ed è in quei luoghi di giustizia che va in onda un’altra verità, diversa da quella degli spot pubblicitari. Per ora, la giustizia terrena cerca di fare ciò che può, siamo sicuri, che per alcuni personaggi sia riservata una giustizia che non compete agli umani.

L’obiettivo generale dell’iniziativa legale di «Chiedere al Tribunale di dichiarare che lo Stato italiano è responsabile di inadempienza nel contrasto all’emergenza climatica e che l’impegno messo in campo è insufficiente a centrare gli obiettivi di contenimento della temperatura definiti dall’Accordo di Parigi. Un’insufficienza che ha come effetto la violazione di numerosi diritti fondamentali. Tra le argomentazioni della causa legale spicca, infatti, la relazione tra diritti umani e cambiamenti climatici e la necessità di riconoscere un diritto umano al clima stabile e sicuro».

I ricorrenti rivolgono ai giudici due richieste specificheDichiarare che lo Stato italiano è responsabile di inadempienza nel contrasto all’emergenza climatica; condannare lo Stato a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 92% entro il 2030 rispetto ai livello 1990, applicando il principio di equità e il principio di responsabilità comuni ma differenziate (Fair Share), ossia tenendo conto delle responsabilità storiche dell’Italia nelle emissioni di gas serra e delle sue attuali capacità tecnologiche e finanziarie attuali.

Molte associazioni ambientaliste e la stessa Greenpeace, hanno spesso denunciato come, nonostante tutto, vi sia una volontà a investire nel fossile, e come grandi multinazionali spingano i governi in questo senso.

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