Cambiano i governi, cambiano i vertici RAI, la tv pagata con spot pubblicitari e canone mensile in bolletta
Il Consiglio dei ministri ha mandato in pensione l’attuale sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli: il ruolo dovrebbe andare a Carlo Fuortes per spingerlo a lasciare la Rai.
Detto fatto. Dopo quattro giorni dalle dimissioni dell’Amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, il governo Meloni trova il suo sostituto, Roberto Sergio fino alla fine della durata del mandato che scadrà nel luglio del 2024.
Cosa è accaduto ai vertici della Rai?
Il draghiano si dimette: «Non firmo scelte contro l’interesse dell’azienda». Non andrà al teatro San Carlo di Napoli. – Sono arrivato da uomo libero, me ne vado da uomo libero – sono le poche parole che si sono sentiti dire quelli a cui ieri ha risposto al telefono – si legge su Domani.
Cambia il racconto di TG e trasmissioni, o forse, già è cambiato. Alcuni giorni fa, è stato interessante ascoltare il racconto del TG sulle opere benefiche di ENI. Una nuova energia – Eni è impegnata nella decarbonizzazione di tutti i prodotti e i processi per raggiungere la neutralità carbonica al 2050, nel rispetto degli obiettivi internazionali stabiliti dall’Accordo di Parigi si legge sul suo sito.
In Africa Eni trasforma villaggi e produce biocarburanti; in questo modo il cane a sei zampe aiuta gli agricoltori, che altrimenti non saprebbero cosa fare. Inoltre, Eni aiuta anche Eni stessa, ma ciò è irrilevante.
Sono molti i paesi africani dove il cane a sei zampe ha messo le zampe.
Già circa cinque anni fa, nonostante i rischi e le perdite economiche la Nigeria resta un “gigante petrolifero”: è il Paese più popoloso dell’Africa e ha una prospettiva di crescita pari al 6%, secondo un report della World Bank. A differenza di altre compagnie petrolifere leader della zona, come la Total e la Shell, che hanno subito perdite che superano il milardo di euro, Descalzi ha dichiarato che ENI non ha intenzione di abbandonare il petrolio nigeriano, anche perchè secondo le loro stime, il cane a sei zampe non ha subito perdite così gravi. La volontà di continuare le trivellazioni nel Golfo di Guinea però deve andare di pari passo con le politiche di rispetto ambientale, per non aggravare l’inquinamento dovuto dallo sfruttamento estremo delle acque profonde. Per essere realmente leader regionale, ENI deve promuovere progetti che diminuiscano l’impatto ambientale; sul sito dell’azienda è possibile leggere che:
La tutela dell’ambiente è una componente imprescindibile del nostro modo di operare. Svolgiamo le nostre attività in conformità agli accordi e agli standard internazionali, nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e delle politiche nazionali. La nostra gestione dell’ambiente è basata su criteri di prevenzione, protezione, informazione e partecipazione.
La realtà dei fatti è completamente diversa dalle parole che appaiono sul sito; l’ENI è stata più volte accusata dalla comunità nigeriana per aver contribuito all’inquinamento nel Delta del Niger, ma è riuscita a uscire quasi sempre indenne anche grazie agli accordi con il personale amministrativo del Paese.
Coltivazioni sostenibili per la produzione di biocarburanti in Kenya
Sul sito Eni si legge – A oggi, lungo questo percorso, tra i progetti in stato più avanzato rientra il Kenya, dove circa il 70% della popolazione è dedita all’agricoltura in un quadro socio-economico in cui i piccoli agricoltori hanno scarse possibilità di accesso al mercato. I progetti qui avviati hanno anche l’obiettivo di sostenere gli agricoltori locali, attraverso la creazione di reddito rurale e promuovendo modalità di coltivazione più efficaci e la rigenerazione di terreni degradati, da destinare alle colture per la bioraffinazione.
Si tratta di un progetto a lungo termine che punta a sviluppare una rete di agri-hub per la produzione di oli vegetali, i cosiddetti, agri-feedstock, provenienti dalle filiere agricole ed agroindustriali. Colture oleaginose promosse in aree degradate per via di fenomeni quali la siccità e l’impoverimento dei suoli, rotazioni agricole e consociazioni, recupero dei sottoprodotti agricoli e degli scarti agroindustriali o infine valorizzando le produzioni spontanee delle aree alberate.
In linea con le certificazioni di sostenibilità riconosciute dalle direttive europee, lo sviluppo di queste filiere agricole non compete con la filiera alimentare e non incide sulle risorse forestali. Un attento monitoraggio dell’impatto socio-economico, sulla salute e più in generale sui diritti, consente di mettere in evidenza e valorizzare gli impatti positivi in termini di creazione e stabilizzazione del reddito, rigenerazione di aree rurali degradate, creazione di nuove professionalità e nuovi posti di lavoro.
Il cammino verso la transizione energetica non si ferma – recita un altro capitolo dello stesso articolo.
Il coinvolgimento di ENI inizia nel 2010 quando, a causa del temporeggiamento di Shell nell’acquisto, anche dettata dall’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro nei confronti di Etete, la compagnia italiana tenta di inserirsi per l’acquisizione del 50% della concessione con Shell, essendo anche già in possesso del giacimento vicino, l’OPL 244.
Secondo l’inchiesta fatta da Report, ENI e Shell sarebbero complici dunque nel più grande scandalo dell’industria petrolifera, avendo stipulato un accordo di compravendita per più di 1 milardo di dollari, più di tutto il bilancio sanitario nigeriano. Nella maxi tangente sono coinvolte moltissime personalità legate agli alti ranghi dell’ENI, alcuni intermediari che avevano il compito di far transitare i soldi in banche svizzere o paradisi fiscali come le Mauritius e delle società offshore di facciata che coprivano le manovre finanziarie. Guardato in prospettiva, lo scandalo del giacimento nigeriano è l’ennesimo esempio di come le risorse naturali del Paese siano servite ad arricchire una piccola élite di affaristi locali, con la complicità più o meno chiara di imprese occidentali, a scapito dei comuni cittadini e dello sviluppo della nazione.
Il nuovo racconto continua. Cambiare il racconto o cambiare canale?
Per aiutare i villaggi e le popolazioni africane non sarebbe meglio permettere loro di coltivare prodotti per la loro sussistenza al posto dei biocarburanti? Non sarebbe bello esportare un po’ di tecnologia, insegnare loro a camminare con le loro gambe, aiutarli ad essere autosufficienti?
E poi dove andrebbero a finire i giacimenti, gli extra extra profitti? E la solidarietà? E l’ingenua riconoscenza degli agricoltori africani?
Meglio cambiare il racconto o cambiare canale? Deve pur esserci chi le racconta queste cose, giusto? Anche omettendo, nascondendo e cambiando.
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